Ta pum… ta pum… così risuonavano agli orecchi degli alpini i colpi dei fucili austriaci. E loro li cantavano, stipati nelle trincee in montagna, oppure durante i lunghi trasferimenti in mezzo alla neve.

Gli alpini hanno una grande tradizione di canti, sia in tempo di guerra che in tempo di pace. Si assomigliano un po’ tutti, con quel loro incedere lento, corale, sempre un po’ triste, profondamente sentito.
Ma il testo parla chiaro: la guerra è una cosa brutta, molto brutta. Gli alpini, sempre sospesi fra la vita e la morte che può giungere improvvisa, conducono una vita terribile: giorni e giorni di sentinella, con un freddo atroce, sulle pietraie o in mezzo alla neve, con poco cibo [il rancio], pieni di pidocchi perché non ci si può nemmeno lavare, col nemico sempre pronto a sparare. Ta pum… e non ci sei più.
Ecco il testo (ne esistono innumerevoli versioni):
Venti giorni sull’Ortigara [un monte in provincia di Vicenza, al confine col Trentino]
senza cambio per dismontà
Ta pum, ta pum, ta pum,
ta pum, ta pum, ta pum.
Con la testa pien de peoci [pieni di pidocchi, in dialetto veneto]
senza rancio da consumà
Ta pum, ta pum…
Quando portano la pagnotta
il cecchino comincia a sparar.
Ta pum, ta pum…
E domani si va all’assalto:
soldatino non farti ammazzar.
Ta pum, ta pum…
Quando poi siam scesi al piano
battaglione non ha più soldà
Ta pum, ta pum…
Ho lasciato la mamma mia,
l’ho lasciata per fare il soldà.
Ta pum, ta pum…
Battaglione di tutti morti
a Milano quanti imboscà! [imboscati, nel gergo militare i soldati che avevano trovato una sistemazione sicura in qualche comando, dove non si correvano rischi]
Ta pum, ta pum…
Dietro il ponte c’è un cimitero
cimitero di noi soldà
Ta pum, ta pum…
Quando sei dietro quel muretto [il muro di cinta del cimitero]
soldatino non puoi più parlà
Ta pum, ta pum…
Cimitero di noi soldati
forse un giorno ti vengo a trovà [seppelliranno anche me]
Ta pum, ta pum…
Quanto dolore, quanta sofferenza in queste parole! Questo è il vero volto della guerra.

Qui la guerra non viene celebrata come un momento eroico, qui il soldato ci racconta la sua condizione estrema, tra la vita e la morte. Cantare per darsi coraggio: quando il freddo e la guerra tolgono ogni speranza, le voci unite in coro possono dare forza e calore.
Ascoltiamolo in una versione “nobilitata”, cantata da un coro specializzato nei canti degli alpini; forse un tempo le voci erano meno intonate, ma certamente non meno partecipi:
https://www.youtube.com/watch?v=AdZVmEBmKME
Nel cantarlo, inconsapevolmente, gli alpini spesso ricalcavano uno schema tradizionale: una voce intonava il primo verso del testo e tutti gli altri rispondevano in coro. Si chiama forma responsoriale o responsorio, cioè risposta, ed è presa di peso dalla tradizione cristiana, a sua volta mediata dagli antichi canti ebraici. Ancora oggi, se entri in una chiesa durante una funzione solenne potrai sentire il sacerdote officiante intonare il primo verso di una preghiera e l’assemblea rispondere in coro, sia che si tratti di un passo cantato che di un passo recitato.